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Piena di spazio

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PIENA DI SPAZIO

La casa gialla posta in fondo alla strada principale levò anche quel giorno la sua spirale di fumo dal comignolo. Era un’abitazione ampia e spaziosa. Un paese nel paese.
Il rituale quotidiano per la signora Angela, custode affidabilissima, prevedeva che alle ore nove venisse aperto il portone d’ingresso, seguito dalle persiane.
La governante, così la chiamavano amorevolmente i proprietari, passava l’aspirapolvere lungo i corridoi e negli angoli in cui più s’accumulava il terriccio depositato dalle suole delle scarpe. Quindi, con lo straccio, nettava i pavimenti, dopo che l’acqua dei rubinetti era fluita a lungo. Anche lo sciacquone veniva azionato ripetutamente per evitare che il tanfo si diffondesse nelle stanze.
Era necessario avviare di frequente il riscaldamento affinché asciugasse i muri perimetrali che fiorivano di muffa in quel mese di dicembre particolarmente umido.
I lavori di restauro, praticati qualche anno prima, avevano mobilitato due architetti e una squadra di muratori e all’edificio era stato restituito il suo aspetto di villa elegante, attorniata da un bel giardino con gli alberi, che si coloravano di tinte forti in autunno, e i fiori rinvasati o piantati nel terreno ad ogni cambio di stagione.
La casa, bellissima, disponeva, all’interno della sua cinta muraria, di una piccola corte in porfido nella quale avrebbero potuto giocare tanti bambini con la palla. I proprietari vi facevano visita di rado e, in particolare nel periodo estivo, quando il signor Gianni e la signora Lena ricoveravano la loro BMW nell’autorimessa e portavano le valigie, stracolme di abiti, al piano superiore.
In quell’occasione tra i glicini del terrazzo veniva aperto un enorme ombrello color pervinca, riparo alla calura soffocante.
Qualche volta arrivavano anche i figli e i nipoti dei due anziani coniugi con le loro macchine lussuose, rombanti e superaccessoriate. Dormivano una notte nelle rispettive camere, i bambini scorrazzavano in lungo e in largo e poi tutti ripartivano veloci verso la grande città dopo aver decantato le bellezze del posto.
E la governante, partiti i proprietari, doveva pulire, rassettare, risistemare con la cura meticolosa che le era propria e che era degna della fiducia in lei riposta .
Era una donna sulla settantina dall’aria quieta e dimessa. Una montatura ingombrante attraversava il viso minuto. Il passo frettoloso, il sorriso malinconico tradivano i trascorsi di una vita sofferta.
Nei mesi freddi le visite alla villa diventavano pressoché nulle. La signora Angela continuava ad attendere alle proprie mansioni con il puntiglio della governante fedele. Tutti i giorni percorreva i seicento metri di marciapiede che separavano il suo appartamento, in affitto, dalla dimora signorile e procedeva alle sue funzioni di guardiana, girando per stanze vuote, esponendo tappeti al pallido sole che al mattino indorava i profili dei monti e sovrastava l’ombra dei boschi.
Quei raggi che bucavano la macchia umida e scura degli alberi erano una trafittura per gli occhi dell’anziana donna, affacciata al balcone, intenta a rimirare il cielo, a osservare il volo delle cince e le punte degli abeti agitate dal vento . Unici segni di vita cui abbeverare la solitudine del cuore dove pulsavano i fremiti di interminabili attese.
Per quanto affezionata e devota ai proprietari, che conosceva da tempo, l’anziana donna non poteva fare a meno di rammaricarsi per quelle prolungate assenze. Per quei lavori di restauro rimasti privi di una naturale finalità che non fosse la semplice cura estetica dell’avita dimora. Lei, che aveva trascorso la sua esistenza a respirare aria concentrata in pochi metri cubi, calpestando impiantiti opachi dentro le strette di un modesto appartamento, si rattristava pensando alla sovrabbondanza di uno spazio destinato ai fantasmi.
Anche quel giorno dunque la spirale di fumo si levò, come al solito, dal comignolo della casa gialla componendo volute bianche e sinuose verso il cielo. Ma quello non era un giorno come tutti gli altri. Era la vigilia di Natale. Un vago sentimento di speranza si fece strada nell’animo della donna. Fin dalle prime luci dell’alba nel cielo grigio i fiocchi bianchi cominciarono a volteggiare creando quella atmosfera magica che accelera i battiti e i respiri.
L’anziana custode ricordò la volta in cui erano arrivate le nipoti del signor Gianni e si erano sporte dai balconi gridando di felicità perché nevicava.
Si augurò di poterle rivedere e, nell’attesa, scelse dalla legnaia, il ceppo più grosso da cui si sarebbero levate le faville dei desideri nella notte santa.
Ma il cellulare squillò malauguratamente alle undici del mattino. La signora Lena annunciava ad Angela che improrogabili impegni trattenevano tutta la famiglia in città. Non sarebbero giunti in Valle, non avrebbero trascorso la notte più bella dell’anno insieme a lei. Le assicuravano, però, il loro affetto, il loro pensiero e la invitavano a rimanere nella casa, badando che i caloriferi rimanessero accesi perché i muri non trasudassero umidità.
Dopo aver eseguito il dovuto, con quella scrupolosità che caratterizzava da sempre la sua vita, l’anziana signora fece ritorno al suo piccolo appartamento che si affacciava sulla piazza. Passò prima dal macellaio per ordinare la solita razione di carne da brodo, sottoponendosi pazientemente alla solita domanda. “Altro? “ le chiedeva infatti con malcelata insistenza, la sorella del macellaio, lievemente contrariata per quella modesta spesa, e lei non poteva che rispondere “Nient’altro” perché viveva sola ed era sempre stata di poco appetito.
Consumò un pasto semplice e si sedette sul divano con nelle orecchie il ticchettio familiare della sveglia, regalatale dalla sorella sposata che abitava in Svizzera.
Guardò dalla finestra : aveva smesso di nevicare. La donna decise di uscire, di evadere, la vigilia di Natale, dal chiuso angusto della casa. Percorse l’arteria principale del piccolo centro, inghirlandata dalle luminarie, camminò finché non si trovò davanti alla scuola. L’esterno era tutto illuminato e una frotta di bambini saltellava su un ammasso di cubi e parallelepipedi di legno disposti ad arte nel cortile. Lei vi si avvicinò e raggiunse i margini delle assi dove sostava anche qualche adulto che non conosceva.
I bambini vociavano occupando, ognuno, uno spazio all’interno del paese stilizzato. Che in quel giorno non poteva che ricordarle un Presepe insolito, rischiarato dai lampioni.
“Ehi, tu- chiese leggermente preoccupata la signora Angela, notando il più monello che si sporgeva dal punto più alto- che cosa fai là?”
“Sono sul mio grattacielo – rispose il piccolo mentre la voce incespicava tra i denti e l’apparecchio – e cerco di prendere la stella cometa”.
“E tu? – domandò ancora l’anziana signora, rivolgendosi a una bambina che passava le mani lungo le pareti del suo abitacolo- che cosa fai lì?”.
“Spolvero la mia camera. La mamma si lamenta sempre perché non lo faccio mai!” rispose la ragazzina mentre i riccioli si scioglievano a cascata sulle spallucce strette. “E’ Natale e devo prepararla!”.
“Sta attento, dico a te – esclamò Angela guardando un ragazzino che sembrava volersi buttare dal suo osservatorio sui piccoli mucchi di neve- cosa fai?”
“Sono sulla prua di una nave e cerco l’isola del tesoro!”
Un altro le disse : “Sono nella casa della nonna che mi ha preparato la polenta. La devo portare a Gesù Bambino”, un altro ancora “Questo è il mio garage dove ho i miei attrezzi per costruire tante cose”.
Mentre una leggera brezza le scompigliava le ciocche sottili, l’anziana signora si sentiva immersa tra le meraviglie. Anche lei bambina tra i bambini, in quel clima festoso e rasserenante. Quando si girò notò, accanto a un mucchio di cassette, il costruttore. Con la barba e una sorta di bisaccia appesa ai fianchi era evocativo. Pensò che il suo nome doveva essere Giuseppe ma non osò chiedere. Era una donna timida e riservata e non amava apparire spavalda.
Anche lui faceva il guardiano. Di quei bambini.
Perché non si facessero male.
Si rigirò e riguardò l’insieme , ascoltò le voci, sempre immersa nello stupore.
“Ma… non desiderate tornare a casa? Fa freddo qui…” chiese ancora.
“No! Si sta benissimo” le rispose uno dei più piccoli sorridendo.
“ Ma, non hanno freddo?” insistette rivolgendosi al costruttore.
“Non lo avvertono” rispose il presunto Giuseppe.
“Come mai? “ incalzò lei.
“Perché sono felici. Sono felici, sì, di essere al mondo e di occupare uno spazio in cui si riconoscono e si sentono riconosciuti. Uno spazio nel mondo tutto per loro.” asserì il falegname.
Lei lo guardò come se fosse un personaggio giunto apposta da un paese lontano per consegnarle un dono . Fu pervasa da una dolcezza inattesa e si sentì in cammino sotto le stelle.
L’abbraccio fumante le venne incontro alzandosi dalle falde rosse del tetto .
La corte interna della casa era immobile, i cubetti di porfido ricoperti da un leggero strato di neve non solcata dai pneumatici.
Quando aprì il portone d’ingresso percepì il tepore della famiglia. La presenza del signor Gianni seduto al tavolo che consultava le carte, e della moglie di lui che strofinava un panno sul giaccone di renna. Dallo studio si diffondevano le note di un jingle, eseguito al pianoforte dalla figlia più giovane e romantica, così innamorata della musica e dell’arte, e dalla cucina arrivava l’odore della crostata di mele che piaceva tanto al soriano grigio.
Angela accese tutte le luci: la mobilia del soggiorno scintillò, irradiata da quei fari. Il chiarore cancellò il buio della solitudine. Qualcosa o qualcuno si materializzò.
Quella casa iride, e aria, quella casa piena di spazio si popolava di ricordi, di persone, e tutto prendeva il suo posto secondo l’ordine naturale dei sentimenti e delle cose.
Adesso l’affidabilissima governante sapeva che un grosso ceppo avrebbe continuato ad ardere tra gli alari, lanciando nella notte la sua scia di faville e lei avrebbe guardato davanti a sé il mondo nuovo, vivo e palpitante, che le stava intorno e che si portava dentro .









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